Sulla tutela
Questo testo non ha l’ambizione di essere un saggio scientifico, nè un testo esaustivo: sono soltanto riflessioni raccolte nel tempo, durante il mio lavoro sul campo.
Nelle schede parlo dei miei incontri con gli artisti e/o i loro familiari, di come considero queste persone mie amiche, cercando sempre di instaurare rapporti duraturi, pur con tutte le difficoltà comportate dalla vita e dalle distanze.
Tuttavia il mio lavoro non si esaurisce soltanto in questo, essendo una storica dell’arte il mio obiettivo principale è la tutela. Negli ultimi anni si è parlato tanto di valorizzazione dei beni culturali, senza rendersi conto che se non si tutela presto non ci sarà più nulla da valorizzare.
Nel mio piccolo, ogni qualvolta mi sono trovata di fronte a un sito in pericolo ho cercato di coinvolgere le istituzioni, che conosco bene poichè vi collaboro come libera professionista.
A volte si trovano persone in gamba e aperte mentalmente, che ascoltano, capiscono e cercano di fare ciò che possono. Altre volte ci si trova di fronte a persone che si limitano a dire che non è di loro competenza.
La prima vicenda di cui mi sono occupata è stata quella relativa la casa di Zandegiacomo ad Auronzo di Cadore (Belluno): di proprietà comunale, era in corso di alienazione, intervenni con una segnalazione d’interesse storico-artistico e la risposta fu tempestiva e positiva. C’era la volontà di preservarla, ma dopo un sopralluogo svolto insieme, ci si rese conto che ormai del vecchio laboratorio di quel calzolaio-pittore rimaneva soltanto la facciata e la casa avrebbe richiesto un’opera di ristrutturazione che un ente comunale non poteva sostenere.
Questo episodio mi permise di capire quanto è importante documentare: scattare fotografie, girare video, raccogliere quante informazioni possibili. È l’unico modo per trattenere ciò che è destinato a scomparire. Del valore della documentazione e del lavoro di chi sta sul campo per raccogliere e trattenere indizi, me ne sono resa conto anche durante alcune visite a siti ormai estinti: è stato il caso del sito del Re del Po a Boretto (Reggio Emilia), dove accompagnai l’esplorazione di quel poco che rimaneva alla visione in loco del documentario prodotto da Costruttori di Babele. In seguito mi ricapitò con dei siti presenti in Tuscia, in particolare quello di Fratini a San Michele in Teverina (Viterbo): potei individuare le poche tracce rimaste tramite la lettura di un articolo pubblicato sulla rivista dell’Osservatorio Outsider Art. Pochi esempi ma indicativi di quanto è importante documentare finché esistono e di quanto utile sia la tecnologia odierna: consultare un archivio digitale, leggere un articolo o guardare un documentario mentre si svolge il sopralluogo è ben diverso dal farlo seduti comodamente nella propria casa.
Riguardo la loro scomparsa, credo che a volte sia insita nella natura stessa del sito, altre volte invece è causata dal mancato riconoscimento del loro valore e dalla mancanza di reali strumenti d’intervento.
Ci sono alcuni siti che sono un insieme di installazioni, assemblaggi di oggetti di scarto sapientemente recuperati e composti: in questo caso ci si avvicina alle installazioni d’arte contemporanea, destinate anch’esse a scomparire. Credo sia difficile arrivare un giorno alla loro tutela.
Forse alcuni siti è anche giusto che scompaiano dopo la morte del loro autore, penso alla Casa delle Girandole (Venezia) che poteva vivere solo finchè Zangrossi era presente per prendersene cura: il rammarico in quel caso è non aver preservato almeno i singoli oggetti. Anche se questo pone di fronte al delicato tema della musealizzazione: quelle girandole, come molti altri oggetti «babelici», erano state concepite per un certo contesto, e musealizzare spesso significa snaturare. Tuttavia, non tutto si può conservare in loco: se pensiamo alle pale d’altare d’età medievale o moderna, sarebbe bello ritrovarle nelle chiese per cui sono state concepite, ma questo andrebbe a discapito del loro stato di conservazione. Buona parte delle opere del passato esistono grazie alla musealizzazione. Si tratta di giocare sulle mezze misure: fermarsi a metà strada tra il musealizzare tutto e il non musealizzare nulla, valutando caso per caso.
Altri siti, invece, ci pongono di fronte a opere di natura ben diversa il cui valore è evidente e innegabile. Mancano, però, gli strumenti per intervenire: in primis legali, poiché il Codice dei beni culturali ne prevede il riconoscimento come bene culturale soltanto dopo 70 anni dalla morte del loro autore o dalla loro creazione. Settant’anni sono troppi per arrestare lo scorrere del tempo: i materiali senza manutenzione si deteriorano e la natura in breve si riprende ciò che le appartiene.
Di fronte a questo limite, qualcosa si può cercare di fare ugualmente: lo ha dimostrato la Soprintendenza di Verona, che è intervenuta per preservare – per quanto possibile – la Casa delle conchiglie di Cerpelloni. Sono stati necessari dei compromessi, poichè trattandosi di un’architettura costruita in modo anarchico non era adatta a un uso abitativo, cui i nuovi proprietari volevano adibirla, ma almeno parte dell’intervento dell’artista è rimasto.
In questo giocano un ruolo fondamentale gli eredi: in assenza di strumenti e risorse pubbliche spetterebbe alle famiglie provvedere alla loro tutela. Ma a volte non possono o non vogliono, a volte si trovano a dover gestire un’eredità ingombrante che li pone di fronte a problemi di natura disparata: possibili rancori verso un parente così eccentrico, incapacità di comprenderne il valore, mancanza di risorse economiche… Ci sono eredi che potrebbero tutelare e per loro precisa scelta non si adoperano, come ce ne sono altri che se ne prendono cura tra mille sacrifici.
Nel corso di questo anno 2024 ho incontrato la storia di Antonutti a Blessano (Basiliano-Udine) e mi sono trovata di fronte a degli eredi consapevoli del valore delle opere del padre: non vendono la casa familiare per evitare che il nuovo acquirente possa distruggerla.
Diversa è la situazione della casa di Armando Tiso a Dolo (Venezia): in questo caso mancano gli eredi, la casa è di proprietà di un privato e ancora attendo di essere ricevuta dal comune. In queste situazioni servirebbe l’intervento della comunità locale, sempre divisa purtroppo tra sostenitori e detrattori.
Ho affrontato anche la vicenda della collezione di quadri di Maria Furlan a Oderzo (Treviso), in apparenza più semplice, poichè per quanto la soluzione migliore sarebbe stata conservare la casa-museo com’era, trattandosi di quadri si poteva percorrere anche la strada della musealizzazione. Sentita la soprintendenza di zona che disse che sarebbe stato possibile chiedere un vincolo come collezione, forse anche come studio d’artista (su esempio della Casa di Bonaria Manca in Tuscania), e trovato un museo disposto a ospitarne una piccola parte, dovetti lasciar andare quelle opere al loro destino, perchè non essendo della famiglia non avevo voce in capitolo.
Attualmente il Ministero della cultura ha avviato un progetto di catalogazione delle architetture rurali: settore altrettanto di nicchia e solo ora che stanno andando perse si è pensato che forse vale la pena intervenire. Il mio sogno è che un giorno questo possa accadere anche per le architetture fantastiche e quando accadrà ci si renderà conto di quanto è andato perso, non mi illudo però che questo possa servire a qualcosa. La natura umana prevede la precarietà e la disgregazione, cercando da sempre di porvi rimedio quando ormai è troppo tardi.
Bologna, 09/05/2024
In foto il sito di Fratini a San Michele in Teverina (Viterbo) nell’estate 2023.